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      Dopo il suo male, Dio sa quale imbroglio fosse accaduto nel suo organismo; fatto sta che s'era ridotto piú pauroso d'un bambino di due anni. Non poteva stare allo scuro, non poteva star solo, ogni incidente, ogni piccolo strepito, lo alterava.
      Un giorno, mi ricordo, s'andò insieme in Albano verso sera. Io avevo non so che faccende da sbrigare, e gli dissi: - Se credete che non v'abbia a far disturbo, aspettatemi qui nel caffè. Come vedete è pien di gente, e a quest'ora certo non resta vuoto. - Egli mi rispose: - Bene bene, andate pure; - ed io: - In quattro salti me la sbrigo, e in un quarto d'ora son da voi.
      Torno dopo un dieci minuti, e da lontano vedo sulla porta del caffè un capannello di gente: - Ci siamo - Difatti era lui svenuto su una sedia con tutti intorno per farlo rinvenire.
      E un'altra volta s'andò in compagnia di cinque o sei alla festa di Cisterna nella Paludi Pontine, e si dormí a Velletri tutti in una camera, col lume, causa le sue paure.
      La notte il lume si smorza, lui comincia a smaniare, a ognuno pesava l'alzarsi, e gli si dice in coro di star cheto e di non romperci le tasche: lui non fa altro che tanto, s'alza, apre la finestra, e se il piú vicino non è svelto a slanciarsi, e non lo riprende per aria, era affar finito, e lo ripescavamo sul selciato della via. Costui ed un paio d'altri inconcludenti erano i fissi. Gli avventizi erano i carrettieri del vino, classe che conta fra le piú rispettabili e piú rispettate del popolo romano.
      E non scherzo, parlo sul serio.
      Come ognun sa, Roma è stata da secoli il refugium peccatorum della terra intera; e se non se ne fosse certi altrimenti, basterebbero i casati a provarlo. Ce ne sono d'ogni lingua, d'ogni nazione, senza che quelli che li portano mostrano nulla che li faccia apparir forestieri.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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