Generalmente avevo il trattamento a mezzogiorno di vedermene dinanzi una tavolata di sette o otto di costoro; ed era una vera delizia d'artista vederli, udirli, studiarli. Belle e forti figure, sempre bene atteggiate, sempre maestose. Sfido chicchessia a sorprendere uno di costoro in una mossa ignobile. N'era un tale che avea nome Pizzetta. Mi ricordo un giorno, dopo mangiato, tempo di gran caldo, s'era steso boccone sulla tavola medesima ove ancora sedevano quattro o cinque compagni. Appoggiava il capo a due braccia abbronzate e robuste, e russava. A un tratto i suoi compagni, non so per qual motivo, levarono tutti insieme un grido che lo svegliò! Ancora lo vedo alzare il capo tutto insonnolito, guardarli bieco e con voce roca - pozziate morí d'accidente! - e poi giú di nuovo a dormire. Racconto questa inezia per mostrare quanto dovessero esser singolarmente artistiche le figure di costoro, se mi rimasero impresse nella memoria al punto di vederle ancora dopo quarant'anni come se fossero vive e presenti! Eppure anche il povero Pizzetta a qualche cosa m'ha servito. Nel sacco di Roma del Niccolò de' Lapi, lo dipinsi e ne feci uno de' profanatori di San Giovanni de' Fiorentini.
La sera di quella prima giornata cenai alla medesima osteria e a notte chiusa m'avviai verso il castello, seguendo l'olmata che vi conduce, col mazzo delle chiavi da una mano e dall'altra una lanterna da scuderia che avevo comprata come mobile indispensabile.
Ho già detto che a far l'analisi della mia natura un milligramma del Don Chisciotte ci si troverebbe. Egli vedeva un'avventura in ogni fatto, in ogni incontro il piú usuale; ed anch'io, senza prender le cose sul serio quanto lui, pure mi sentivo lavorar la fantasia all'accostarmi, fra quelle tenebre e quel silenzio, alla mia solitaria e drammatica dimora.
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