Da quell'ottobre, non per mesi, ma per anni ed anni, mi consumai in una lotta ostinata fra il dovere ed il cuore. Il mio dovere era lavorare, affaticarmi onde diventar uomo e valent'uomo, se potevo, utile alla mia patria ed agli altri. Il cuore concentrava invece tutte le mie ansie, tutte le mie aspirazioni su un punto solo. Eppure volli e volli vittoriosamente. Fu però una triste, e per qualche tempo una sterile vittoria. Potevo ben comandare a me stesso di stare nello studio o su' libri quelle tante ore che impiegavo prima al lavoro; ma non potevo comandare alla mia povera intelligenza di capire e d'imparare. Potevo montar a cavallo, uscir di Roma e stabilirmi in qualche paesetto per studiare dal vero l'estate, ma non potevo ridestarmi in cuore quella scintilla che s'infiamma dinnanzi alle bellezze del creato. I cieli, i lontani, le foreste, le acque mi sembravano morte solitudini; la loro vita, l'anima di tutto, era per me allora una sola, ed era altrove.
A tanti anni di distanza, ancora provo un brivido pensando alle torture che sostenni in quell'epoca funesta.
Esaminando ora la mia condotta in questa vicenda, trovo che ebbi pure un merito del quale l'esperienza m'ha poi mostrato il valore: il merito d'aver conosciuto che il dovere debba inesorabilmente passar innanzi all'amore: il quale giova sempre combattere, benché poco, e male, e raramente si vinca in questa battaglia.
E vuol sapere come finí?
Dopo sett'anni che io non avevo rivolto altrove neppur un pensiero, fui messo fuor dell'uscio per un patrizio spiantato, che parecchi anni dopo ebbe fama d'usuraio, poi di ladro!....
E cosí vanno le cose del mondo. Per fortuna, mi ricordai del distico
Le bruit est pour le fat, la plainte est pour le sot;
| |
Roma
|