Quel tal gomitolo dipanandosi a rovescio mentre mi ci venivo riaccostando, pareva che a mano a mano mi ritornasse nelle vene la vita. Con qual ansia di gioia crescente venivo trapassando tutti i successivi punti della via Appia, che tutti avevo a mente e m'esprimevano ognuno tante miglia di meno da fare! Tor di mezza via, Roma vecchia, il Tavolato - coll'oste padron Camillo, seduto sull'uscio, ed il piede fasciato posato su uno sgabello (mi sono sempre scordato di domandargli che male ci sentisse) - e poi la casa degli Spiriti; e finalmente lo stradone diritto, in fondo al quale mi si presentava la massa bruna e maestosa di San Giovanni in Laterano, spiccato sull'ultima striscia arancia del crepuscolo, che in quei paesi a fatica si spegne quando già il cielo sul capo è scintillante di stelle.
Trapassavo l'arco della porta, ove in una gabbia di ferro stava il cranio imbiancato dal sole e dalle piogge di un celebre malandrino (l'idea del ritorno mi faceva parer simpatiche persino quelle occhiaje infossate); e poi via via, misurando i passi, le distanze, contando i minuti, giungevo a casa, mi spolveravo, mi rivestivo, e poi correvo là....
Ma se mi giova dare un'idea della mia condizione interna d'allora, non intendo, come già dissi piú volte, raccontare amori; però al là si cala il sipario, e non lo rialzo che per la partenza.
Questa cadeva nella notte successiva dalla domenica al lunedí. Secondo l'uso di Roma, stavo in giro per le società sino al tocco o tocco e mezzo (5 ore o 5 1/2); poi cena alla trattoria dell'Armellino o di Monte Citorio; qui mi veniva condotta la mia cavalcatura, e lasciati i guanti gialli, trasformato di nuovo in vaccaro, riprendevo tristo tristo la via di Marino.
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