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      E a giudicar dalle apparenze e dall'ozio perfetto nel quale viveva, concludo che la voglia di campar a ufo senza lavorare avesse in lui acquistata l'efficacia del genio; e che mediante questa rara qualità, avesse o ammaliato o vinto il sor Checco, che in conclusione l'aveva accettato per suddito e lo manteneva.
      Otia si tollas, periere Cupidinis artes, disse Ovidio; ma la prima parte del precetto essendo sempre riuscita ostica al sor Mario, il dio Cupido rimasto padrone del campo l'avea sottoposto al giogo d'una bella ragazzotta, che non rifiutava del tutto i suoi ardori. Ma per disgrazia li rifiutava e detestava padron Titta, barbaro padre, vignarolo comodo, e, come si suol dire a Marino, pezzo di carne cattiva. Chiamava il povero Mario, magro e sgroppato, mezzo C....
      - Digli che ci venga e che ce lo colga!....
      Tale minaccia generica, e perciò piú terribile, gli usciva tratto tratto di bocca e gelava l'amante novizio, il quale non osava neppure fissare da lontano la pentola fessa trasformata in vaso di garofolo, collocata sulla finestra dell'adorata Nanna; senonché, un giorno di festa il diavolo lo tentò di condurre a notte avanzata la banda, che aveva strombettato tutta la giornata pel paese, a conciliare il sonno dell'amato bene.
      Non avevan suonato cinque minuti, quando s'apre la finestra, e Mario che credeva vedervi apparire (come Ruggero in casa di Alcina) quelle ridenti stelle, vide.... o piuttosto non vide che lucciole, allo scoppio di un'archibugiata che impallinò lui, la banda, e quanto c'era!
      Scappa il sor Mario, scappa la banda, scappano gli spettatori sottosopra per vicoli oscuri; chi bestemmia, chi si duole, chi grida: - È stato Titta! è stato questo, è stato quest'altro!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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