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      La sua memoria, il pensiero del suo lungo combattere per elevarsi il cuore e la mente, que' suoi generosi sforzi verso il bene, che alla fine l'uccisero, l'idea delle sue lunghe malinconie, tutto ciò mi desta in cuore una mesta tenerezza che non pretendo certo divisa dal lettore. Ma quel povero giovane meritò molto, e morí oscuro. Non è forse giustizia dedicargli una pagina, affinché il suo martirio non rimanga ignorato?
      In questa fiaccona generale della gioventú, che si crede forte, perché non rispetta, presume e grida, è bene presentarle un modello di quella forza, di quella fermezza vera, che sta nel saper lottare in segreto onde vincere tristi tendenze, coltivarsi la mente, e rendersi atto al sagrificio per l'adempimento del proprio dovere.
      Per quanto brontolare contro la gioventú sia il privilegio degli anni, non voglio tuttavia essere ingiusto. I grandi riordinamenti politici non si compiono senza grandi disordini sociali. Per fortuna essi sono passeggeri, e dipende dal senno d'un popolo abbreviarne la durata. Ma finché durano, addio educazione! addio istruzione! Sempre fu e sempre sarà cosí. Onde la colpa non è tutta della gioventú d'oggidí, ma bene potrà essere suo vanto saper presto uscire dal disordine inseparabile dalle transizioni.
     
     
     
      CAPITOLO VIII
     
      La nuova della morte d'Enrico mi venne a Marino, il secondo anno del mio soggiorno in casa del sor Checco.
      Passo d'un salto l'inverno che si trova tra mezzo, durante il quale seguitai a condurre quell'esistenza di miserie morali, di poche gioie e di molte rabbie, che sono la triste fioritura della vita d'innamorato.
      Raccapezzai pure un quadro rappresentante Leonida alle Termopili. Lo mandai a Torino, e mio padre l'offerse al re Carlo Felice, che dal canto suo mi offerse una scatola con qualche brillante.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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