Benvenuto Cellini narra d'un tal prete mago che voleva condurlo seco a consecrare un libro magico nei monti de' Norcia, e che gli assicurava essere que' villani capaci d'aiutarli, perché di tali cose intendenti.
E neanche di queste magie alpine non ne sentii mai far parola da persona, salvo quella volta dal sor Checco. Quanto poi ad apparizioni, folletti, stregonerie ecc., ed a tutta quella popolazione fantastica che abita le regioni settentrionali, non ne ho trovato traccia. Queste creazioni, figlie delle lunghe notti e delle nebbie iperboree, non appaiono sotto gli stellati sereni de' nostri climi. E sempre al solito, nel mondo fisico come nell'intellettuale, le tenebre insegnano l'errore, e la luce mostra la verità.
Lasciai dunque Marino e mi separai dal sor Checco, dalle due vecchie, dai giovani; dei quali nessuno, salvo la sora Nina, dovevo piú rivedere.
Dopo ventun anno ritornai di passaggio a Marino, e bussai alla porta della mia antica dimora. Mentre aspettavo che mi s'aprisse, notai dall'altra parte della strada una donna mezza vecchia che richiudeva la porta d'una cantina dalla quale usciva con un boccione di vino.
Era la sora Nina! Me le accostai, e credetti accorgermi che non mi riconosceva.
- Sora Nina, non mi conoscete?
- Sete el sor Massimo.
- E 'l sor Checco?
- È morto.
- E la sora Maria?
- È morta.
Nominai tutti di casa, e ad ogni nome rispose col suo sguardo sereno è morto o è morta, a norma delle concordanze.
Poi io a guardarla lei, e lei a guardarmi me, e zitti tutti e due. M'accorsi che la reconnaissance non era per presentare le emozioni che vi sanno trovare i romanzieri.
- Sera Nina, stateve bene.
- Stateve bene, sor Massimo.
Tale fu la chiusa della nostra relazione di venticinque anni, e me n'andai dicendo maledetta patata, in forma d'epifonema.
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