Pochi mesi dipoi, passando davanti a San Marcello, vidi che si faceva un gran funerale. Entrai e scorsi steso sul suo ultimo letto il cadavere del cardinale Consalvi.
Sembra che per lui sarebbe stato meglio morire un anno prima. Ma chi può scandagliare questi misteri!
L'inverno del '25 lo passai lavorando a tutto potere. Oramai mi trovavo avere un discreto capitale di studio, e di studi dal vero; mi sembrava di potere affrontare le grandi difficoltà senza troppa presunzione, e mi misi in animo di far qualche opera grande (nel senso della dimensione, s'intende) e di genere un po' nuovo. La scuola fiamminga, olandese, che regnava allora in Roma, non popolava i suoi quadri d'altro che di pastori e bestiami. Io chiamai in mio soccorso una colonia di paladini, cavalieri e donzelle erranti. In letteratura non era una novità; nella pittura di paese lo era.
Scelsi un soggetto del Malek Adel di Madame Cottin: - La morte di Montmorency; - e cominciai a pensarvi il giorno, a sognarmelo la notte, mi diedi a fare schizzi, bozzetti, prove e controprove, finché venne a luce un bozzetto che trovai accettabile: e comprata una gran tela, mi posi all'opera con tanto furore, che quasi dimenticai persino quell'amore maledettissimo.
Fondavo su questo quadro di gran castelli in aria. Era il mio pot au lait.
Uno de' primi pensieri di Papa Leone era stato di pubblicare il gran giubbileo universale per l'anno '25; la qual cosa significava, Roma trasformata per dodici mesi in un gran stabilimento d'esercizi spirituali. Non teatri, non feste: non balli, non ricevimenti, neppure in piazza i burattini; ed invece prediche, missioni, processioni, funzioni, ecc.
Eh eh! c'era motivo a mature riflessioni!
Non ch'io fossi portato allora, come non lo fui mai, per quelle seccature, che la società chiama divertimenti; ma alla fine quella malinconia, e peggio, quell'ipocrisia universale era un passatempo che poco mi tentava.
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