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      La compagnia della Riccia era però (non posso nasconderlo) piú ripulita di quella di Marino. Almeno ci si trovava con chi barattare le parole, e parlare un po' di tutto. Avevamo una spinetta, o cattivo pianoforte che fosse, e le sere serviva ad accompagnare romances, canzoni, reminiscenze d'opere, ecc. Voglio qui incastrare l'istoria d'un povero villano, che a ripensarci ancora mi sento stringere il cuore.
      Un giorno in campagna m'imbattei in un villano che si cacciava innanzi un asino carico, e lo seguitava leggendo tutto attento un libro.
      Lo fermo, e gli dico: - Che, sai leggere? e che leggi?
      Mi mostra il libro: era una grammatica francese unta e bisunta. Questo villano poteva avere ventidue o ventitré anni: benché abbronzato, di forme volgari e rozzo parlare, mi guardava con occhio intelligente e mesto, diverso affatto da quello sguardo d'animale selvaggio che è comune in campagna di Roma agli uomini della sua struttura. Egli mi narrò come avesse imparato a leggere da sé, poi si fosse messo all'impresa d'educarsi ed istruirsi, ed ora stesse imparando il francese. Mi disse amare tanto la musica, e non aver trovato mai modo d'impararla: essersi però fabbricato da sé una specie di violino, dal quale cavava poi Dio sa che versi da streghe. Egli aveva avuta occasione di prendere qualche idea della tastiera; ed io lo invitai perché venisse a casa, e cercai di aiutarlo.
      Non è credibile quanto questo povero giovane mi fosse grato. Gli prestavo libri, lo lasciavo venire ad esercitarsi sulla spinetta: e siccome aveva un padre bestiale, che non intendeva altro che vanga e lavoro, se la svignava la sera dopo la fatica del giorno per venire a scuola. Tante volte lo trovai colla fronte caduta sulla spinetta, addormentato per stanchezza.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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