Non fo per dire, ma lavorare di testa, di pennello e di striglia, mentre uno sente sfinimenti, affanni, palpitazioni che sembra vi mandino il cuore in bocca, ci vuol una certa costanza. La cosa arrivò al punto che anco gli amici mi consigliarono a consultare un medico e curarmi. A Roma quando si hanno di quei mali che non vi mettono a letto con la febbre, ma che strascinano senza carattere preciso, la panacea è sempre: "Provi l'aria di Napoli."
Io che in vita mia non ho mai avuta gran paura di morire, ma che l'ho avuta sempre grandissima di non essere né vivo né morto, mi risolsi subito a curarmi e accettai Napoli.
Non mi ricordo se il Pactolo fosse fiume o torrente. So bene che per me aveva tutti i caratteri del torrente, e quello che alimentava la mia borsa era in quel momento al massimo magra. Sparito il cavallo: non se ne discorre - era un grigio pomato.... peccato! -. Ma ci vuol altro! Dovendo affrontare il viaggio di Napoli, hanno a esser quattrini. Non volendo ricorrere a nessuno, m'ingegnai, - non mi ricordo come - vendendo probabilmente - e misi assieme lo stretto occorrente. E poi ricorsi al gran rimedio di chi non ne ha abbastanza, e non può crescer l'entrata: diminuii le uscite. Avviso al Ministro delle Finanze italiane che sarà in seggio quando questi Ricordi vedranno la luce!
C'era allora un tal vetturale che aveva ridotto il viaggio di Napoli ad una rapidità miracolosa. Ci andava fermandosi una sola nottata, e cogli stessi cavalli. Un altro entrò in gara, e ci andava nientemeno co' cavalli medesimi, senza neppure la nottata. Pare una burla - circa centottanta miglia! - ma era proprio cosí. Non già che camminasse sempre; ma ogni sei o sette ore di via, due ore di fermata e poi avanti.
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