Allora, invece, dipendevano unicamente dalla corte, cioè dal Gran Ciamberlano e dal suo sistema planetario, che non ne capiva niente; come ne capirono poco le corti italiane in tutti i tempi: tolte quelle di Milano, Venezia, Firenze, Parma, Ferrara, Urbino, Roma, e in parte Napoli nel solo secolo XVI vel circum.
Barne avea mandato a Torino per primo saggio due mezze figure al vero: il Date obolum Belisario; esso con un fanciullo. Quadro molto ragionevole: c'era disegno, modellato, una certa fierezza spagnolesca di pennello, il tutto studiato sul vero ed anche d'un bel colore per chi se n'intende; cioè, stando coll'argomento, colore severo, armonico, poco piú d'un chiaro scuro: insomma colore senza colori. Chi è artista mi capirà. Questo quadro fu accolto a Torino come i cani in chiesa; e arrivò al povero Barne una gridata: "Se erano quelli i bei profitti che faceva nell'arte, e se erano saggi da mandare, ecc. ecc.?" Lui che s'aspettava tutto l'opposto, poiché a Roma era stato lodato, si strinse nelle spalle, e pensò: "Vorranno cose piú allegre, colori, figure gaie;" e si risolse l'anno dopo per un Apollo, colla sua brava lira ed il mantelletto rosso; e fece la piú disgraziata cosa che abbia mai vista. Tondo tondo, con quel viso a naso dritto, e quella faccia scema, che si fa al biondo dio: con un corpo che pareva di manteca alla rosa e non di carne, su un fondo di paese verdolino, e i raggetti di giallolino intorno al capo, proprio faceva rabbia....
A Torino piacque. E di qui imparino i mecenati che a proteggere senza criterio si fa peggio che a non proteggere affatto. Il povero Barne, che era, per il suo buon giudizio, entrato nella via vera dell'arte, si gettò, com'era naturale, nella falsa, unicamente perché i suoi mecenati erano asini.
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