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      Si capisce quanto quest'episodio fosse fedel ritratto delle usanze guerresche del secolo XIV; ma il mecenate voleva la nota dolce, e siccome dal mecenate dipendeva il to dine or not to dine, bisognava badare a lui e non al buon senso. E daccapo ripeto, meglio nessun mecenate che il mecenate asino.
      Meno questo sproposito, non era un cattivo quadro, e forse poteva essere seguito poi da altri migliori: ma poco dopo che ci fummo lasciati, il povero giovane s'ammalò, e morí. Pace all'anima sua.
      La mia partenza da Roma fu questa volta tranquilla, e non drammatica, come l'antecedente. Lasciai lei, gli amici, e que' luoghi con qualche rammarico; ma un intimo senso m'avvertiva che quello non era e non poteva essere piú cielo per me.
      Ritornato a Torino con tutta la mia provvista di studi, occupai due camere verso Piazza Carlina, che mio padre mi aveva fatte ammannire in casa, dov'ero tranquillo, isolato, e potevo lavorare. Mi sentivo pieno di voglia di far finalmente qualche cosa sul serio, a testa e cuore riposato; e col sentimento oramai tornato in calma, nel trovarmi finalmente liberato da quell'immagine che per tant'anni non m'aveva data un'ora di pace, mi pareva proprio d'essere un altro. Prima di fissarmi al lavoro, passai, essendo estate, alcuni mesi a far gite in varie parti. Fui a Viú sopra Lanzo, ed in una passeggiata per quei monti, trovandomi su un dorso d'un giogo, ebbi la rara sorte di sentirvi una forte scossa di terremoto. Non s'ha idea quanto esso appaia piú grandioso e terribile fra le alte montagne. Che si scuotano le case sembra quasi naturale: ma a veder traballare quelle rupi immense sorge l'idea d'una spaventosa potenza nascosta nelle viscere della terra; ed a me fece il senso d'una manifestazione affatto nuova.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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