- Ed io tutto modesto: - Eh sí! mi diverto a dipingere un poco. - E questa modestia era ottimo calcolo, che consiglio a tutti ne' casi simili al mio. Chi non si vanta è stimato un terzo piú del valore, se ha merito. Se non ne ha, non avendo detto d'averne, nessuno gliene vuol male. I giovani che entrano in carriera se la leghino al dito.
La conseguenza di questa mia perlustrazione fu di farmi riavere un po' di fiato, e diminuire, non dico cessare affatto, la tremarella. Non già che avessi trovato artisti di poco valore; ma alla fine m'ero convinto che le foglie de' loro alberi non s'agitavano allo zeffiro ed erano dipinte come le mie. Venne finalmente il gran giorno: si cominciò a portare a Brera le opere degli artisti; ed anch'io, presi falegnami, tappezzieri, facchini, vi feci portar le mie, nel luogo che m'avevano destinato, ed era, per gentilezza di que' signori uno de' migliori.
Non mai come allora ho tanto spiato gli sguardi, i moti de' visi, le espressioni delle fisonomie, non solo degl'intelligenti, ma de' bidelli, de' facchini, de' fattorini che aiutavano a metter su il mio altarino, per vedere se facevo colpo. Ma tutto riusciva sempre ad un non so che tra il sí ed il no, tra la speranza e la paura. Ancorché un'opera d'arte sia passabile, perché i piú la trovino tale e la guardino, bisogna che lo sentano dire da altri. Il voto d'un amico però m'induceva a rassicurarmi, e quest'amico era il direttore del gabinetto numismatico di Brera, Cattaneo.
Egli aveva studiata l'arte a Roma prima de' Francesi, ed era contemporaneo di Bossi, d'Appiani, e di tutti i primi paesisti d'allora; di Denys, Woogd, Hackert, e simili. Di questo valentuomo, che mi voleva bene e non era adulatore, molto mi fidavo, ed egli mi ripeteva sempre che avrei incontrato, e cosí mi veniva crescendo il coraggio.
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