Al 1° settembre s'aprí l'esposizione. Cattaneo era stato indovino, ed il mio incontro fu al di là di quanto avrei potuto sperare. Il Bosco d'abeti venne acquistato dal viceré; Barletta dal conte Porro, e Legnano non mi ricordo da chi. In due o tre giorni trovò collocamento tutta la mia mercanzia. Temevo che quella vittoria de' Milanesi sull'Imperatore mi suscitasse difficoltà. Difatti non c'era da sbagliare sull'intenzione. Il povero Barbarossa, col cavallo inevitabilmente bianco di tutti gli eroi dipinti, si trovava in terra ai piedi del Carroccio in assai cattive acque: e se in effetto si fosse trovato ridotto proprio cosí, dubito che tre giorni dopo avesse potuto ricomparire in Pavia, ove l'avean tenuto morto.
A ogni modo la polizia e il governo, sapendo pur troppo che in realtà era il Carroccio in terra e l'Imperatore in piedi, non vollero turbarmi il mio successo con inutili seccature.
Dopo un tale incontro, le commissioni piovvero da tutte le parti, e sempre n'ebbi in quantità durante il mio soggiorno a Milano: tantoché m'accadde fare ventiquattro quadri in un inverno, tutti o quasi tutti ordinati.
Mentre mi ingegnavo per prendere una buona posizione artistica nella mia nuova sede, ero intanto sempre venuto lavorando al Fieramosca, che si trovava oramai presso alla sua fine. Le lettere in quel tempo erano rappresentate in Milano da Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Torti, Pompeo Litta, ecc. Vivevano fresche memorie dell'epoca di Monti, Parini, Foscolo, Porta, Pellico, di Verri, di Beccaria; e per quanto gli eruditi od i letterati viventi menassero quella vita da sé, trincerata in casa ed un po' selvaggia, di chi non ama d'esser seccato, pure a volerli, e con un po' di saper fare, c'erano, e si poteano vedere.
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