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      Inutile d'aggiungere che soltanto a chi non se n'intendeva, poteva venire in capo simile idea. Chi se n'intendeva non prese di questi granchi. Sarebbe come scambiar un Cesare da Sesto con Raffaello.
      In conclusione fu un vero furore. Lo meritava o non lo meritava? Qui sorge una questione curiosa sul destino dei libri: che è il fatto, molte volte, il meno esplicabile ed il piú anomalo, date le regole ordinarie. Generalmente se si parla, verbigrazia, del Guerrin meschino, di Paris e Vienna, del Caloandro fedele, de' Reali di Francia, del libro di Bertoldo, si dice, scioccherie. Scioccherie fin che volete: ma intanto, da tempo immemorabile, vivono, prima manoscritte, poi stampate, ristampate, e sempre si stampano! Dunque hanno presa sui cuori e sugl'intelletti; dunque un merito c'è. Si potrà dire che non è merito letterario, e qui si può avere ragione. Ma dico io, a che servono le lettere? In certi paesi, ed in certe epoche, a nulla o a far male. A che devono servire? A molto ed al bene. Dunque un lavoro letterario, se anche val poco sotto l'aspetto artistico, può valere assai sotto un altro; purché serva ad uno scopo utile: in tal caso avrà un valore d'un altro genere, e quindi non si potrà dichiararlo senza merito. Intesa cosí la questione, credo che il Fieramosca abbia un merito reale. E la modestia ripassi un'altra volta.
      Il mio scopo, come dissi, era iniziare un lento lavoro di rigenerazione del carattere nazionale. Io desideravo esclusivamente ridestare alti e nobili sentimenti ne' cuori; e se tutti i letterati del mondo si fossero riuniti per condannarmi in virtú delle regole, non me n'importava affatto, ove senza regole mi riuscisse d'infiammare il cuore d'un solo individuo.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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