- Un dopo pranzo d'estate - diceva egli - eravamo nelle scuole che mettevano sotto il loggiato del cortile d'ingresso. A un tratto si leva un rumore al portone, che viene aperto, ed entra una sfuriata di Cosacchi su' loro cavallucci, le lance, le barbe, e si spargono pel prato del cortile. Noi ci divertiva, era una cosa nuova, finiva la lezione; e poi non ti dico - altro che divertimento! - la delizia, la gioia, il delirio era vedere quelle facce sicure, dominatrici, dei nostri tiranni, confuse, atterrite, inclinarsi, far buon viso, mezzo raccomandarsi a que' Sciti; e temendo che da un momento all'altro mandassero collegio, frati e collegiali a rovina. Loro, i Cosacchi, parevano buona gente, trovavano curioso il nostro insieme, ridevano, giravano, profittavano d'una buona merenda che la paura fece tosto scaturire, e che era meglio delle nostre. Io - diceva Grossi - quando vidi la paura di un certo Oblato, che odiavo particolarmente, pensai, profittiamo dell'occasione. Presi un di que' barboni per le falde, e mentre colla sinistra gl'indicavo il mio Oblato, colla destra tesa tagliavo replicatamente l'aria dall'alto al basso, in atto di calda preghiera che per sua bontà lo picchiasse ben bene. Il Cosacco si smascellò dalle risa, ma con mio gran dolore lasciò stare il frate."(27)
(*) Invero, come aneddoto, è poca cosa, ma l'ho riferito, perché ricordo che mi ha fornito un pretesto ad una bizzarra osservazione morale. Il Grossi, come ho detto, era una delle anime piú buone; ebbene aveva il ticchio di farsi passare per un uomo maligno, e quasi cattivo. La prova di ciò che dico è, che il Grossi stesso, messo da me co' piedi al muro, dovette finir l'aneddoto confessando, che fu poi preso da un tal rimorso, che andò egli stesso dall'Oblato a raccontar tutto dichiarandosi pentito.
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