Era ciò forse l'effetto di quel tal sentimento, che nelle dottrine democratiche si stenta ad ammettere, che blasonicamente si traduce in noblesse oblige, e che in me invece rassomigliava assai piú alla trepidazione del non poter mantenere col secondo libro quanto col primo avevo promesso. È dunque quasi inutile ch'io qui ricordi, che in quel mio secondo esperimento letterario ho messa assai maggiore attenzione e molto piú studio nell'esattezza storica. E scrivendo il Niccolò de' Lapi, abbandonai la simpatica vita di Milano, le mie care compagnie, per correre sui luoghi che furono teatro alla mia narrazione, studiarli, e rendermene piú che potevo informato. Di ciò dirò piú appresso.
(*) Raccontare al lettore le mie gioie domestiche seguite da un lutto poi il nuovo sorriso onde fu abbellita la mia esistenza :' dire i dolci istanti de' ritrovi di famiglia, le angustie e le speranze paterne ecc. mi parrebbe cosa poco istruttiva, dilettevole niente affatto. Ho già avuto occasione di confermare piú d'una volta il concetto onde é stato mosso questo libro: il concetto d'un utile insegnamento a' giovani miei concittadini: altrimenti il mio libro non mi parrebbe avere una ragione al mondo d'essere pubblicato.
(*) Scrivevo dunque, parecchie ore al giorno; parecchie ne spendevo ne' quadri, de' quali ero diventato un gran venditore: intendiamoci bene, venditore sempre cercato e pregato. Tutto m'andava co' fiocchi: bene in salute, pochi bisogni, e mezzi relativamente abbondanti per farvi fronte. Gentilissima accoglienza dappertutto. La sera divertimenti variati, massime quelle del classico teatro della Scala: o divertimenti ancora piú simpatici, nella familiare conversazione del Manzoni, o nella compagnia non meno cara del Grossi e di qualche amico artista.
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