Ora, per render ragione dell'impressione che possono aver ricevuta da questo quadro le persone che per il loro stato non debbon conoscere l'intima qualità e la misura de' mezzi che adopera la pittura, mi pare di dover aggiungere: che accade talvolta (forse dovrei dir sempre) che fra due quadri, de' quali l'uno mostri un partito di chiaroscuro deciso ed ardito, e minor merito nel resto, e l'altro abbia tutti i pregi di composizione, disegno, espressione, ecc., e minor effetto nel partito generale, il primo sarà veduto con maggior piacere dall'universale; mentre gli artisti, concedendo pure che l'effetto generale del secondo è meno lodevole, ciò nonostante lo preferiranno, trovando che questo difetto è riccamente compensato dall'altre bellezze.
(*) La mia giornata in Milano non mi lasciava tempo d'annoiarmi. Scrivevo con ardore capitoli nuovi del Niccolò de' Lapi: mi ci compiacevo, non tanto pei sublimi compensi che, nella creazione, l'intelligenza suol dare a chi crea, quanto per la coscienza di seguitare il mio programma: quello di scuotere gli Italiani, e chiamare la loro attenzione sopra affari un po' piú importanti che non fossero quelli delle scritture di ballerine e di cantanti. Mi affretto a confessare, che non pensavo nemmeno per sogno a far il brutto tiro agl'impresari di render loro deserto il gran teatro della Scala: io riconoscevo che non solo i grandi artisti esercitavano una inevitabile tirannia sugli spiriti de' Milanesi, ma che tutto ciò che si riferiva al teatro della Scala, perfino il maestoso Gallarate, era un personaggio, a quei tempi, in Milano, assai piú celebre e ben voluto che non tutta la caterva di noi artisti o scrittori. In ciò è d'uopo ravvisare quanta fosse la finezza e l'avvedutezza del governo austriaco.
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