(*) Credo superfluo il dire che ho lavorato ben piú di cosí, ma nel mio studio, senza sforzar troppo quella tal corda della tolleranza artistica che alla fine poi si rompe. La tentazione di cedere a' suggerimenti dell'amor proprio era grande; potevo lasciarmi allettare dalla teoria del tirar giú presto; potevo trinciare, ecc. Niente di tutto questo. Lo affermo sull'onor mio: non mi stimai pesare un'oncia piú di prima: lavorai come se fossi stato ancora presso Checco Tozzi o il sor Fumasoni.
(*) Mi sono sempre guardato scrupolosamente di fare il giudice ed il saputo; e quella volta che ho dato un parere in un quadro, l'ho dato con delle ragioni e considerazioni che toglievano al mio scritto ogni carattere di sentenza. Sono sempre stato cortese con tutti gli artisti, amici o no, e ciò non m'è punto costato mai fatica: m'avrebbe bensí costato fatica il contrario, che urta la mia natura.
(*) I quadri de' quali sembra che il pubblico abbia recato piú favorevole giudizio (ed io internamente gli ho dato ragione), furono: La vendetta, che ho riveduto con piacere nel 1860 in casa Poldi-Pezzoli. L'Ombra dell'Argalia, Il combattimento di Bradamante con Atlante, La morte del Montmorency, Contadina alla quale è caduto l'asino in un mal passo, Ippalca e Ruggero..., e qualche altro. La morte del conte Montmorency non mi pare sia stata esposta a Brera.
(*) L'Ariosto mi forní la massima parte dei miei primi soggetti, e non avrei saputo trovar meglio altrove. Volendo io seguire una pittura, che da un lato mi fornisse il modo di valermi de' miei lunghi e faticosi studi co' quali tentai di avvicinarmi alla verità, e dall'altro lasciasse un campo ampio alla fantasia ed a concetti elevati, nessuno piú dell'Ariosto poteva aiutarmi.
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