Ma alla fine che cosa gli si domanda? gli si domanda di far del bene a noi, ma piú a sé: gli si domanda, venendo l'occasione, di lasciarsi aiutare a diventare piú grande, piú potente di quello ch'egli è; e v'ha da parer dubbio ch'egli vi s'accordi? - E qui aggiungendo un paragone molto irriverente - ma eravamo fra la Storta e Baccano, lontano cento miglia dalle Corti, e non mi sentivo punto cortigiano - dicevo: - Se invitate un ladro ad essere galantuomo, e che ve lo prometta, potrete dubitar che mantenga; ma invitar un ladro a rubare, e aver paura che vi manchi di parola, in verità, non ne vedo il perché!
Povero Carlo Alberto! Il tempo ha mostrato ch'egli non meritava d'esser giudicato cosí duramente; e quando ripenso al mio paragone, mi sento rimordere. Ma cosí accade pur troppo ad un principe che non va per la via piana, che crede trovar una forza nella furberia! Povero Carlo Alberto, si credeva furbo!...
A questi discorsi, molto piú lunghi e particolareggiati che non li scrivo, il buon Pompili si veniva accomodando, e si capacitava che la cosa potesse stare come gliela dicevo. Ma qui lui come tutti, e come sempre, voleva che gli dicessi quando si sarebbe potuto sperare che si venisse a qualche conclusione. Ed allora s'entrava in un'altra difficoltà, quella di persuadere la pazienza a chi soffre, che è la maggiore e la piú naturale delle difficoltà, come già ho detto. E bisognava farlo capace che, senza un gran fatto europeo, era impossibile, al modo col quale si vive in oggi nel mondo, che l'Italia potesse muoversi e che Carlo Alberto avesse modo d'aiutarla. - E questo fatto europeo quando avverrà? - Domandatelo al Signore, - rispondevo io.
Chi m'avesse detto allora, nel quarantacinque, che il Signore avea deliberato che questo fatto, il maggior commovimento di popolo di che vi sia notizia nella storia, s'avesse a verificare non piú che tre anni dipoi!
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