Quanto a me, che non son profeta, confesso che non me lo credevo vedere prima di morire. Ma la curiosa coincidenza fra le mie parole ed i fatti del quarantotto, ebbero però gran parte nell'influenza che ebbi per qualche tempo in Italia.
Cosí discorrendo, il nostro Antonio ci mise a calata di sole a Baccano. Bella fermata per passar la notte! Nel cuore dell'aria cattiva e nella peggio stagione! Bisognò fare di necessità virtú, e mi disposi a non dormire: che in settembre, in quel fondo, hanno la febbre credo io anche le bôtte.
Non capii mai cosí bene come quella sera il sonetto che Alfieri vi scrisse, alloggiandovi anch'esso:
Vuota insalubre regïon, che Stato
Ti vai nomando, aridi campi incolti....
Due o tre casali o casacce di qua e di là dalla strada maestra, che cascano a pezzi, luride, affumicate: scalcinate le mura, e i tetti, le imposte mezze rotte, vero ritratto della desolazione: ecco tutto Baccano.
Non vi sta se non il mastro di posta co' suoi uomini, le loro famiglie, e l'oste. Tutti visi gialli, funesti, d'un'espressione perversa. Gente guasta dal mal governo, dalla malaria, dal passo de' forestieri, dalla miseria: putridume fisico e morale.
Entrai in cucina, che era insieme la sala dell'osteria, e me n'andai vicino al fuoco, per aggiungere una pagina al libro de' soliti miei studi sugli animali della mia specie, che lí ero certo trovare in circostanze, per fortuna non reperibili tutti i giorni. L'occasione era da non lasciarsi passar senza frutto.
V'erano postiglioni, vaccari, gente di campagna: e cominciai, secondo l'uso mio, a attaccar discorsi. Quantunque mi trovassi a rappresentare l'aristocrazia di quella scelta società, il mio modo di viaggiare mi collocava però in una regione che, se era alta, non veniva però stimata inarrivabile dal miei interlocutori.
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