Ricordammo che li Spoletini uscirono contro Federico Barbarossa, e tutto il suo ottimo esercito; e furono fatti a pezzi, come doveva accadere: e riflettei che quando un popolo è in queste disposizioni, tosto o tardi riesce. Il sangue può esser perduto, l'esempio non mai.
Pompili era d'una villa a poche miglia dalla città. Poteva perciò dirsi arrivato. Io mi trattenni nella città alta, visitai il castello de' Duchi, il grande acquedotto, opera del cardinal Egidio Albornoz, e ci ritrovammo a pranzo.
Egli era andato intanto a rivedere i suoi amici. Sapevo ch'egli aveva in Spoleto un'antica fiamma; gli dissi qualche parola di scherzo sulla visita che supponevo le avesse fatta. Egli mi rispose serio, e quasi in tragico: - Son tempi da pensare alla patria, e non a donne: l'ho vista sí, ma non s'è parlato d'amore, bensí delle nostre speranze comuni.
Questa, lo so, è un'inezia; ma lo ricordo con piacere, perché (come notai in mille occasioni dal '45 al '48) era cosa che colpiva il vedere come il primo e magnifico movimento italiano, le prime speranze un po' fondate d'indipendenza e d'onor nazionale, avevano a un tratto fatto sbocciare in tutti i cuori sentimenti belli e generosi, de' quali io, che da tant'anni giravo in su e in giú per l'Italia, rado trovava traccia per l'addietro.
Do ora questo cenno, ma avrò occasione di tornare piú innanzi sul medesimo argomento, che merita gran riflessione.
Qui dunque mi divisi dal Pompili; il quale m'accompagnò sino al basso della lunga città di Spoleto; che, ben si vede, fu un giorno ricca, popolata e fiorente; ed ora è quel che si riducono le città in mano d'un Governo di preti.
Montai solo nel mio legnetto; e dato l'addio, Antonio e le caprette mi condussero volando per quella piana e bella strada a Fuligno.
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