Balbo anche lui persisteva, e perciò scrissi di nuovo, dicendo: "Tant'è: cosí intendo di fare; e vedrete che invece di perdermi, m'avrete con forze raddoppiate." Domandai tutti gli appunti che fosse possibile procurarsi sul moto di Rimini; e, dopo un paio di mesi, ricevetti un discreto quaderno, nel quale, non so da chi, era stata stesa tutta la descrizione del fatto. Io ne feci il mio testo. Il guaio fu che era poco esatto; e quindi il mio libretto de' Casi di Romagna, quanto ad esposizione di fatti (intendo quelli relativi unicamente al moto di Rimini, non ai piú generali e relativi a tutto lo Stato Pontificio e all'Italia), come scoprii in appresso, è inesatto anch'esso. Ma siccome l'importante stava nelle riflessioni, nelle verità dette imparzialmente ai due partiti, e soprattutto nella pubblicazione col mio nome, e me presente ed accettante, questo difetto non guastò nulla.
Il mio libretto, che intitolai Degli ultimi casi di Romagna, in poco piú d'un mese fu all'ordine. Volevo sentire il parere de' miei piú intimi: onde li pregai di trovarsi una sera in casa di Balbo, e vennero Lisio, Luigi Provana, Sauli, v'era naturalmente Cesare, e non mi ricordo d'altri. Lessi il mio lavoro, vi si fecero alcune correzioni che ammisi, e nell'insieme i miei censori approvarono.
Veniva ora la questione del dove stamparlo. Per noi il luogo migliore sarebbe stato Torino, perché il governo permettendolo, era lo stesso che se ne accettasse i principî, e si sarebbe definita chiaramente la posizione politica di Carlo Alberto.
Se il Re avesse o no fatto bene a prendere allora decisamente questo partito, sarebbe discutibile. Fatto sta che non erano nella sua natura simili risoluzioni decise. Ad ogni buon conto portai il mio lavoro a Promis, perché lo esaminasse e vedesse se misi sarebbe permesso di stamparlo in Piemonte, e stetti aspettando la sentenza.
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