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      La porta, sulla quale appaion gli avanzi d'un'antica pittura rappresentante l'Arcangelo, era fortificata e difesa da una torre ed un ponte levatoio al pari di quante rimangono negli antichi castelli, e la tortuosa strada, che da essa conduce salendo al Monastero, era probabilmente cosí disposta per rendere piú difficile la situazione d'un assalitore, cui fosse riuscito superare il primo ostacolo, e non affatto disperata quella degli assediati.
      Narrano antiche leggende, che piú volte abbiano dovuto i monaci torsi alle tranquille loro funzioni per difendersi dalle aggressioni dei loro nemici. Cuniberto vescovo di Torino, sdegnato per esser stata la Badia sottratta alla sua ubbidienza da papa Leone IX, mosse loro tal guerra, che stretti per ogni parte dovettero ricorrere alla protezione dei Papi. Sordo però il vescovo alle ammonizioni di Alessandro II, seguitava a molestarli, quando assunto Ildebrando alla cattedra di san Pietro, si vide costretto Cuniberto condursi a Roma, onde aggiustare le differenze: alla mediazione de' vescovi d'Asti, d'Acqui e di un abate fruttuariense (di San Benigno) si dovette la ristabilita concordia, e rimasero i monaci soggetti direttamente alla autorità della Santa Sede.
      Piccole case separate dalla maggior fabbrica erano probabilmente il soggiorno de' servi, o dei soldati che stavano al soldo dei monaci; il numero di questi, narra la tradizione, giungesse un tempo sino a trecento, che, alternativamente attendendo ai canti del coro, mantennero per molto tempo fra loro la pratica della Laus perennis.
      Dal piede della scala esteriore non v'è cuore, non v'è fantasia cosí fredda, che alzando gli occhi all'immensa mole non senta un misto di meraviglia, e, quasi direi, di spavento, trovando a tant'altezza, ove si giunge a stento per malagevole strada, e sulla punta irregolare d'un enorme ammasso di rupi, sorto un edifizio, alla costruzione del quale mal potrebbe la piú feconda immaginazione ritrovare quante spese, quante cure, quanti difficili trasporti di pietre, legnami, metalli, ed infine le vite forse di quanti infelici si son dovuti impiegare.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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