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      Fieramente sdegnato il padre d'un amor sí volgare, poich'ebbe vedute inutili e lusinghe e minaccie, chiamato il giovane Arnaldo nella sala d'arme dell'antico castello, spiccò dal muro un palvese ov'era dipinta l'arme di sua famiglia, l'appese senza dir parola al collo del figlio, e trattolo al balcone ove cresceva un cespuglio di rose, una ne colse: postala sullo scudo del giovanetto cosí gli parlava: - Poiché al padre ed all'onore ponesti innanzi la vergine delle rose, abbiti pari ad essa l'insegna. - Scintasi poscia la spada: - e questo a' tuoi vili pensieri troppo onorato dono, abbiti mio solo retaggio. - Quando riscosso il giovane volle parlare, udí già lontani i passi del padre suonare sotto le antiche volte, ed uscí col petto colmo, e l'occhio a terra, dal tetto, che piú non poteva dir suo. Ma breve dura in cuor giovanile ogni affanno; un avvenire di gloria e di fortunato amore lampeggiò nell'anima del giovanetto. - Arde la guerra, - disse, - fra i Mori ed il Re di Castiglia: là troverò campo d'onorate imprese; troverò fama e forse dominio: tutto mi toglieva il padre, ma non mi diede una spada? - Mentre s'avvolge in questi pensieri, gli si ferma il cavallo alla porta d'Isoletta: le narra Arnaldo il suo caso, i progetti e le lontane speranze: pensi ogni cuor gentile qual fu pei giovani amanti quest'ultima dipartenza. Afferrato alla fine il crine del suo destriere, e col piè sinistro alla staffa, - Aspettami, - le dice, - fra due anni alla giostra, che si farà per la festa delle rose. Nacque l'amor nostro in tal giorno; in tal giorno se vedrai questo scudo e questa rosa appresentarsi alla sbarra, sappi, allora, Isoletta, che Arnaldo col suo valore già s'ha ricompri e patria e tetto, e che può condurti in parte ove non tema dirsi tuo sposo.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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