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      Giovinetto anch'esso di prima barba, in arnese da caccia, con un girifalco incappucciato sul guanto s'inchiese dello schiavo, e da uno degli uomini del castello seppe il fatto pel quale era stato quivi condotto. Il narratore, o fosse per dar maggior riputazione alla merce, o per l'inclinazione solita delle persone volgari a magnificare le dimostrazioni di forza fisica, terminava col dire:
      - ... E neppure ci saremmo fidati a condurlo fin qui, senza prima averlo legato come vedete. Ora meni le pugna se può.
      Mentre il cavaliere ascoltava questa narrazione, e combattuto, all'aspetto, tra due pensieri considerava Lanfranco, questi, alzando gli occhi al viso, e volgendoli poi al cielo, con un po' d'ira repressa, disse:
      - E se mio padre non fosse in potestà del valvassore e non temessi per lui, neppur ora queste vostre funi non mi terrebbero!
      Queste ardite parole, tenute dai piú una millanteria, mossero a riso gli sgherri che l'avean in guardia, ed il popolo circostante; ma non il giovanetto barone, il quale con volto altiero disse a Lanfranco:
      - Schiavo! Io amo i valenti ed odio i vantatori. Se ti basta la vista di far quanto hai promesso e romper codeste funi, io dal canto mio ti prometto di comprar te e il padre tuo.
      - Quanto al padre fate conto di non averlo mai, e non fate promesse su quel d'altrui. - Disse uno degli uomini del castello al giovanetto, e questi, senza rispondergli, né far pur atto d'avergli badato, ripeté allo schiavo la sua promessa.
      Un condannato, che senta gridar - grazia, - non si muta altrimenti in volto di quel che si mutò Lanfranco a tali parole.
      - Barone! Dio vi faccia la prima lancia di Lombardia! - Gli disse tutto acceso ed appassionato, non potendo, nell'impeto delia sua gratitudine, trovar augurio di piú invidiabil fortuna; poi soggiunse:


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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