Oggi invece (grazie alla Commissione d'ornato) chi entra in Milano, verbigrazia, per porta Renza, ha la soddisfazione di riposar l'occhio su una bella fila di palazzi, bianchi ed uniformi come un battaglione di granatieri austriaci: e quanto, in codesti palazzi, le membrature e gli ornati dell'architettura greca e romana sieno messi in opera con giudicio e con garbo, chi ha occhi lo può vedere.
Ma, nell'epoca di cui trattiamo, non v'era né la Commissione sopraddetta, né i palazzi in uniforme. I poveri architetti d'allora, privi d'una tanta guida, si aiutavano come potevano; e cosí hanno fatto i loro successori sino al tempo nostro: per la qual cosa ai Milanesi tocca oggi godersi edifizi di cattivo gusto, come il Duomo, la Certosa di Pavia, Sant'Eustorgio, ecc. che, se v'era l'infallibile Commissione, ogni chiesa sarebbe invece sulla stampa di quella che si innalza oggi a San Carlo in Corsia de' Servi, edifizio ove la purità del gusto gareggia colla novità del pensiero: senza parlare poi del massimo tra i meriti d'una chiesa, quello d'aver la forma piú adatta e piú comoda al culto cui è dedicata.
Ma lasciamo questa digressione, nella quale siamo entrati pensando alla via che teneva Ardengo per ritornare al palazzo del suo padrone; ed occupiamoci de' fatti suoi, che in quel momento davan piú pensiero che non ne dà alla Commissione la tutela del felice statu quo dell'architettura. Prima però due parole sul Milano del secolo XII.
Da qualsivoglia parte si giunga oggi alla capitale della Lombardia, il primo oggetto che si scorge da molte miglia è la guglia del Duomo, la quale, ad onta d'una somiglianza che neppur vogliamo accennare, è però bello e magnifico monumento: poi compaion cupole e campanili, che non di molto emergono dalle sottoposte fabbriche, tutte all'incirca d'uguale elevazione tra loro.
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