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      Milano non aveva allora quel bel lastrico, cotanto comodo e pulito, di cui oggi a ragione si vanta e che, a parer mio, serve mirabilmente all'aspetto signorile d'una città, come, per esempio, serve a quello d'un individuo l'esser ben calzato.
      Le strade erano, secondo le stagioni, piene ora di fango, ora di polvere; e, quando Ardengo attraversava la piazza di San Giorgio, il passo de' cavalli e de' carri che spesseggiavano, per esser quelli i giorni della vendemmia, l'avean resa un vero pantano.
      Dal portone de' Menclozzi, che aveva spalancate le sue massicce imposte foderate di lamiera di ferro si scorgeva l'interno del cortile, dove venivan entrando carri carichi d'uve; e Traverso, capo della famiglia, attendeva a farle scaricare nel tinello, vegliando a' propri interessi cogli occhi propri. in appresso i grandi di Milano tennero a vile cotali occupazioni: ora di nuovo v'attendono, ed hanno giudizio. Il prete di San Giorgio, in compagnia di Traverso, badava alla sua decima; e ad ogni dieci carra uno se ne faceva condurre a casa. Ardengo, nel passare, lí salutò alla lontana, piegandosi sul collo della mula; coloro neppur gli badarono, ed esso tirò innanzi entrando in una via stretta e fangosa, che presto lo condusse in piazza del Duomo e poi a quella ora detta de' Mercanti. Ai lati della via da lui tenuta non sorgevano le alte case che esistono oggidí, ma basse, come dicemmo, salve alcune poche di nobili, permisero allo schiavo di scorger da lungi, fra molte torri, quella altissima degli Osii, tutta di sasso scarpellato, di forma rotonda e cinta d'una cordonata a spirale, portata da sottili colonnelli di marmo per la quale comodamente un uomo a cavallo poteva salir sino in cima.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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