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      Quest'illusione d'un'anima generosa ed appassionata, che farà forse sorridere gli uomini del nostro secolo, era meno strana allora, ed anzi si potea dir conseguenza delle idee di quell'età, in cui i canti dei trovatori, le imprese cavalleresche, la vita intera di quanti vantavano cuor gentile, aveano per solo scopo l'amore. Divenuto, per dir cosí, una religione, ebbe, come tutte le altre, credenti ed empi, tepidi e fanatici e, se non ci sviasse troppo dal nostro soggetto, potremmo colle pazzie di quest'ultimi dar materia di riso ai nostri lettori.
      Eppure, paragonando quell'età colla nostra, si potrebbe anco far una riflessione. Quale de' due culti degrada piú l'uomo: quello della debolezza o quello dell'oro?
      Ignoriamo la risposta del nostro lettore, ma di quella delle nostre lettrici ce ne teniamo sicuri e, fors'anco, d'esserci con quest'ultime linee meritato che continui questa lettura con quell'indulgenza della quale abbiamo tanto bisogno.
     
     
     
      CAPITOLO V
     
      Per dar anima alla nuova vita che meditava Lantelmo, tutta d'amore e di sacrificio, gli mancava il piú importante: trovar donna che egli ne credesse meritevole. Quelle che aveva sin allora conosciute, tutte d'alto stato ed in felice fortuna, non gli avevan dato campo di mostrar loro il suo amore altrimenti che coll'armeggiare, col far grandi spese in conviti ed in cacce, ovvero scegliendole a tema delle sue serventesi,(71) che, in quel primo destarsi della poesia siciliana, erano stimate una meraviglia. Ma in tutto ciò non era sacrificio che potesse comprargli quell'amore che si dipingeva nella sua ardente ed illusa immaginazione.
      Il desiderio de' genitori e le convenienze della famiglia lo stringevano a prender moglie; ed avrebbe potuto scegliere fra i piú ricchi ed illustri parentadi dell'isola.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Lantelmo