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      Aldina, che gli leggeva in cuore oramai come in un libro aperto, assisteva a queste torture, che potean dirsi una lenta agonia, e che venivan sopportate da quell'infelice con tacita rassegnazione. Si veniva avvedendo del male, che, senza volerlo, avea fatto e ne provava spavento. "Quel poveretto" pensava "era infelice, era solo, ma aveva pace. L'ultimo bene che gli fosse rimasto io gliel'ho tolto! Passava cheti i giorni, dormiva le notti ed io, sciagurata, ho bandito da' suoi occhi il sonno e li ho mutati in due fonti! Io, in guiderdone d'un tanto amore, gli fo bere sorso a sorso la morte! E quanto lunga e disperata!".
      E piena di questi pensieri, la vista della sua vittima, che tale potea ben dirsi Lantelmo, le metteva in cuore tanto rimorso e tanta pietà che, oramai, di loro due qual fosse il piú infelice sarebbe stato arduo a definirsi.
      Volle provarsi a guarirlo per quella via che avrebbe evitato il male dapprima, ma non poteva piú oramai rimediarlo, si sforzò mostrarglisi indifferente, fredda e quasi dura; ma non era cuore il suo da reggere un pezzo a cosí calcolato e crudele esperimento, che, senza alcun profitto, accresceva i mali di quello cui intendeva porger sollievo.
      A Lantelmo cominciò ad entrar addosso una febbre, che rado o mai lo lasciava; sul suo pallido volto, ne' suoi occhi infossati apparivano sempre piú deboli e rari gli ultimi lampi d'una vita che si va spegnendo. Egli, nel suo segreto, sentiva d'avviarsi a gran passi al suo fine, ma non era uomo da temer la morte, o venisse rapida sulla punta d'una lancia, o lenta lenta sotto il morso della sventura, e compieva il sacrificio tacendo, senza querele o rimproveri, neppur nel suo interno; ove benediceva invece quella che era cagione della sua morte e le pregava da Dio ogni bene, stimandosi troppo felice che avesse gettato sopra di lui uno sguardo, sebbene con quello sguardo l'avesse ucciso.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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