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      - E 'l padrone? - domandava Ardengo nascondendo a stento l'angustia crescente che l'invadeva.
      - Che vuoi che ti dica? Io che lo conosco m'aspettavo che gli avesse da dar della mano in sul viso; invece s'è stretto nelle spalle e gli ha risposto con pace: "Fortuna vostra. Pavesi! Certo avrete la piú mirabile reliquia di quante sono al mondo". E quell'asino stava in gote e soffiava, parendogli d'essere qualche gran cosa. Ha avuta troppa pazienza sire Azzone. - E Frastrado se n'andò, scrollando il capo.
      Ma Ardengo sapeva ben egli di che qualità fosse stata quella pazienza e quanto, per questa circostanza, venisse ad aggravarsi la sua colpa presso un uomo che tutto sacrificava all'orgoglio. Neppur poteva immaginare a qual estremo sarebbe giunto lo sdegno d'Azzone: ed a tutto stava apparecchiato e si rassegnava, tolta una cosa sola, la perdita del suo peculio e con esso della speranza di veder libero il figliuolo. Sudava freddo il povero vecchio a questo pensiero ed in cuore malediceva frate Brisiano ed il suo consiglio. Gli veniva in mente dar quel poco denaro che aveva a qualche compagno che lo rimettesse poi a Lanfranco, ma nessuno gli pareva adatto abbastanza.
      Mentr'era in quel travaglio potea, dal luogo dove stava, scorgere il giardino, e gli venne veduta Aldina e 'l Templario, Un lampo di speranza gli corse per la mente e si mosse dicendo: - Voglia Iddio che mi possa aiutare!
      Giunto nel verziere, si fermò a pochi passi da lei in atto di chi vorrebbe parlare, e non osa. Gli fece animo la donna, accennandogli s'avvicinasse: ed egli allora colle mani giunte e quasi piangendo, le si raccomandava dicendo:
      - Domna,(75) aiutatemi per l'amor di Dio! Ho mancato. Ho disubbidito al padrone.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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