Il vestire di Gualla era una crosna pavonazza foderata di vaio. Se poi il lettore volesse anche sapere come era fatta questa crosna, gli diremmo che non istà bene esser tanto curioso.
Né Mezzabaffa rimaneva addietro da' suoi amici per ricchezza di vesti; e potevano tutti e tre dirsi modelli dell'eleganza e del buon gusto del tempo.
Uscivano tutti dal Consiglio, ove a pieni voti si era risoluta la distruzione di Lodi e ne portavano impressa sul volto quell'allegrezza che hanno provata i cittadini delle città italiane, all'annunzio od alla speranza del male d'una città vicina, fino al dí d'oggi, in cui finalmente cominciano ad avvedersi che il male d'una provincia è insieme il mal di tutte.
Ma in quel momento non eran di Lodi i loro ragionamenti. Azzone raccontava con molte risa a' suoi amici l'incontro col Pavese, che già sappiam da Frastrado, il suo vantarsi e la modesta ed ipocrita risposta con che esso Azzone l'avea dileggiato. Poi soggiungeva, sempre ridendo, d'un riso però ov'era piú arroganza che giovialità:
- E sapete questa bestia perché è oggi in Milano? Viene mandato dal suo Comune per trovare quel tal mercatante, che hanno avuto avviso stia per giungere a momenti; e m'ha detto che s'è ordinato gli abbia a venir incontro il vescovo col clero e i consoli insino a Binasco, per condurre in trionfo a Pavia... Ah! Ah! l'asino del mio mugnaio... Chi gliel'avesse detto a Fardio che al suo asino sarebbe fatto tanto onore! Anzi... lo tengo ora alla Cà del Bosco... Voglio che egli lo sappia e vada a veder la festa.
Poi, guardandosi intorno pel cortile, diceva:
- E anzi siamo a festa e dovrebbe essere tornato Ardengo. Olà! Ardengo!... Frastrado! Malgirone!... Fuori qualcuno! A chi dico io?
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