- Schiavo! non hai ubbidito?
Ardengo temeva il suo padrone, come lo temeva ognuno in casa e fuori, ma pensò in quel momento: "Elio Vopisco era gran barone quanto te" e gli tornò coraggio.
- Non v'ho ubbidito, signor mio - disse - non che mi sia scordato né ch'io sono vostro schiavo, né l'obbligo grande ch'io v'ho: ma Iddio è mio Signore prima di voi ed egli mi vieta quello che voi m'ordinate.
- E Iddio t'ha egli pur detto che stesse a te giudicarmi?
Ardengo potea rispondere che il giudice era stato frate Brisiano e non egli, ma non volea fargli danno e complicare in peggior modo la cosa. Onde, non potendo dir la buona ragione, né trovandone subito un'altra, tacque e parve ad Azzone averlo convinto.
- Rispondi! - proseguiva - sei tu il giudice de' miei comandi? Tu, feccia di schiavo?... e per te sarei vituperato? Perché t'ho fatto degno della mia presenza piú d'una volta, credi che sia per sopportare la tua insolenza? Ah! mi scordavo, è vero, che tu sei sangue di consoli, o forse d'imperatori dell'antica Roma. Alzino il capo e vedranno or ora il loro nipote... Ma a che sto a perder tempo con te? Che hai fatto, mentre sei stato fuori? Parla, e fa' presto.
Ardengo disse la cosa com'era: soltanto attribuí alle proprie riflessioni quello che era stato frutto de' consigli del frate.
- E neppur hai visto il mercante? Neppur sai se sia giunto o passato?
Ardengo accennò col capo di no.
Conobbe Azzone a quel punto che era possibile, anzi probabile, ne perdesse la traccia, e tanto furore lo prese che per poco non manometteva il vecchio. Ma gli parve atto indegno di lui e si rattenne, tantoché produsse pure un bene, una volta, il suo orgoglio. Con un cenno risoluto del braccio gli mostrò la porta e, rimasto solo, percosse col piede il pavimento, mandando un'imprecazione e, nel primo impeto, risolse mettersi di persona all'impresa.
| |
Vopisco Iddio Iddio Brisiano Azzone Roma Azzone Neppur
|