Ne' primi cinquant'anni del XII secolo, fu guerra continua tra le città della Lombardia, mutata in una gran palestra ove sempre piú esse s'addestravano all'armi, quasi volesse la Provvidenza metterle in lena per la gran lotta contro l'imperatore Federigo. Milano collegata con Tortona, Crema e Brescia, nemica a Pavia, Cremona e Bergamo, fece circa quel tempo l'impresa di Como e la sottomise dopo dieci anni d'assedio; Lodi, poco dopo, soggiacque alla medesima sorte e Monza e molti castelli dei contorni, e persino della valle che conduce a Lugano, videro sulle torri sventolar la bandiera di Sant'Ambrogio.
Le città rivali o nemiche, non avendo modi di levarsi all'altezza cui era giunta Milano, o di reggersi contro la sua potenza, ed anco le stesse città collegate mal sofferendo la sua superba amicizia, venne a generarsi in tutta la terra lombarda un mal animo contro la prepotente repubblica, che si cangiò presto in odio piú o meno aperto, ma generale e fierissimo, come sanno averlo gl'Italiani tra loro.
A quest'odio, del quale abbiam già piú volte parlato al lettore, tanto c'importa ch'egli conosca quanto fosse grande ed universale, era chiusa ogni via, salvo una sola. Ove non valevano le sole forze della città, cercar l'aiuto delle straniere.
Non si trovò allora un Lanzone, come ai tempi di Eriberto, o, se vi fu, non venne ascoltato, e di ciò in appresso.
Gli occhi di quanti in Lombardia pativan violenza da' Milanesi, o loro portavano invidia, eran dunque volti alle bocche delle valli dell'Alpi, non avendo altro desiderio, altra speranza che di vederne sboccar presto le aquile imperiali.
Da molti anni, per fortuna dell'Italia, se pure v'aveano spiegate le ali, non avean potuto spiegarvi le ugne.
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