S'avviava alla sua volta l'esercito dopo breve dimora in Roncaglia, guidato dai consoli di Milano ed accompagnato dal marchese Guglielmo, cui premeva giovarsi delle sue forze contro i proprii nemici, e, risalendo sulla sinistra sponda del Ticino, si posava a Landriano.
Volle Federigo che qui si rimandassero i prigioni pavesi; e cosí fu fatto, ma era patto che in contraccambio venissero liberati anco i Milanesi; e non tanto fu loro falsata la promessa, ma ordinò l'imperatore che movendosi l'esercito in una nottata piovosa, come suol portarne l'autunno tra noi, venissero legati alla coda de' cavalli e strascinati a quel modo ed a piedi nel fango; onde toccò a que' disgraziati, salvo pochi ai quali riuscí fuggire, liberarsi con grosse taglie da quello strazio.
Il paese che attraversava l'imperatore colle sue genti, desolato nelle ultime guerre, pativa disagio grandissimo di vettovaglia, fatto maggiore dalla perversità dei tempi rotti in continue piogge, tantoché, mormorando, l'esercito accusava i consoli di Milano, quasiché a bella posta lo conducessero per luoghi selvatici onde consumarlo colla fame; e, posandosi alla fine sotto le mura del castello di Rosate, vollero i Tedeschi, molli e digiuni, entrarvi per forza. Venne dal Comune di Milano l'ordine ai disgraziati abitanti d'uscirne, e la sera dovettero ubbidire, spargendosi per la campagna donne, vecchi, fanciulli e persino gl'infermi, alla pioggia ed al vento e cercando ripararsi nelle circostanti terre, mentre i Tedeschi, entrati nel mal avventurato castello, dopo avervi consumato quanto vi era e mandatolo a sacco, lo ridussero un mucchio di ceneri e di rovine.
Il giorno appresso venne l'imperatore a Biagrasso, ove comparvero gli oratori di Milano, portando le quattro mila marche d'argento, ch'egli sdegnosamente rifiutò, dicendo loro grandissima villania come ad uomini senza fede e disleali, e che non isperassero da lui pace né accordi, sinché non avessero riposte Como e Lodi in libertà. Spediva al tempo stesso un suo cappellano a quest'ultima città, domandandole il giuramento d'obbedienza, che non vollero quei cittadini prestare senza il beneplacito dei Milanesi, ai quali aveano prima giurata fedeltà: avutane però licenza giurarono, e l'imperatore, intanto, prima di passare su quel di Novara, arse Trecate, Galliate e Mummo, terre de' Milanesi, ed arse parimenti i ponti del Ticino poiché l'ebbe passato.
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