Correvano in que' giorni le feste di Natale, ed egli le celebrò con gran pompa ed allegrezza, presso que' luoghi ov'egli avea ridotti tanti infelici all'ultima miseria.
Per questi atti crudeli venne in grande alterazione il popolo di Milano e, credendo che veramente i consoli per loro dappocaggine fossero stati cagione dello sdegno dell'imperatore, corse a furore alle loro case e, quasi ad espiazione, le rovinò.
Questa pronta ed inconsiderata espiazione, offerta dal popolo all'ira di Federigo, non si può attribuire a timore, che assai mostrò in appresso se di timore fosse capace. Si deve, invece, attribuirla alla fede che egli ancora aveva ne' diritti dell'impero ed al suo rispetto per la persona dell'imperatore.
Per questo rispetto, come in appresso vedremo, sembrò per lungo tempo che le città lombarde nel combattere pei proprî diritti temessero continuamente, e piú di tutto, andar troppo oltre, e ne venne che la loro resistenza vestiva un'apparenza d'indecisione. S'avvidero alla fine se fosse altrettanta temperata giustizia in Federigo, il quale poté poi a Legnano conoscere se ancora gl'Italiani dessero i colpi a misura.
CAPITOLO VIII
Nell'inverno del 1155 si trattenne Federigo coll'esercito in varie parti del Piemonte e castigò, ad istanza di Guglielmo marchese di Monferrato, le città del Cairo ed Asti, che arse e rovinò quasi interamente, cacciandone gli abitatori. I Pavesi, intanto, per usar la propizia occasione, stimolavano l'imperatore contro i Tortonesi, gravandoli di molte accuse e, tra l'altre, d'essere strettamente collegati a' Milanesi, accusa che piú di tutto feriva l'animo di Federigo, il quale, a mezzo febbraio, condotto l'esercito appié delle mura di Tortona, ne incominciava l'assedio.
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