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      Non lontano dalla città incontrarono gli oratori del popolo, i quali, nell'offrire all'imperatore la signoria, gli chiesero arditamente che, escluso il papa, tornasse il reggimento a comune, come negli antichi tempi(87), fossero confermati i privilegi e, di piú, desse cinque mila lire per la sua incoronazione: e queste domande e le pretese d'Adriano ci dimostrano quanto fosse affievolita in Italia l'antica fede imperiale e rafforzata invece l'avversa, onde fu autore Gregorio VII. Bensí il popolo ne traeva oramai le conseguenze, da quello probabilmente non prevedute, che già abbiamo accennate, e non ammesse certamente ora dal suo successore. Rispose superbamente Federigo essere venuto per dar leggi non per riceverle, e, consigliato dal papa, spinse alcune bande de' suoi, che, assaltata all'improvviso la città Leonina, l'ebbero senza contrasto. V'entrava Federigo il 18 giugno e, scavalcato alla basilica, riceveva da Adriano la corona imperiale.
      Sdegnati intanto i Romani per la mala accoglienza fatta ai loro ambasciatori e per vedersi esclusi dalla solennità dell'incoronazione, si radunavano in Campidoglio, d'onde tumultuariamente movendosi verso il Vaticano, uccidevano quanti Tedeschi trovavano vaganti per le strade e, giunti alle sbarre ed ai serragli coi quali s'erano gl'imperiali afforzati, li superavano e portavano la battaglia sino sulla piazza di San Pietro. Durò accanito il combattere fino al tramonto: alla fine il popolo, il quale con piú ardire che consiglio assaltava a furore e male armato le ordinate bande della baronia alemanna, tutta coperta di ferro, si venne ritraendo, lasciando sul campo un migliaio di morti e duecento de' suoi in mano al nemico.
      Afflitto Adriano per quest'eccidio, impetrava fossero restituiti i prigionieri al prefetto di Roma e, l'indomani, n'usciva con Federigo, che, vedendo quanto mal sicura stanza vi trovasse il suo esercito ed anco cercando luoghi piú salubri e freschi, si riduceva in Tivoli e vi celebrava la festa di San Pietro; dopo la quale, crescendo i caldi, s'avviava per l'Umbria e la Marca verso Lombardia.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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