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      La mala ventura incontrata dai Romani nella loro prova contro Federigo non tolse l'animo agli Spoletini di tentare la stessa fortuna con forze anco inferiori. Senza neppur valersi della fortezza delle loro mura, uscirono arditamente all'aperto ed assaltarono gl'imperiali che, dopo ostinato contrasto, li ributtarono sino alla città, vi entrarono con essi, e mandatala a sacco, l'incendiarono e distrussero interamente.
      L'audacia colla quale in quell'età le città italiane combattevano per la loro indipendenza contro un nemico per numero, se non per altro, insuperabile, sarebbe in oggi detta pazzia: ma da questa pazzia sorse alla fine il pensiero della lega contro gli stranieri e la virtú di condurla a glorioso fine.
      Può talvolta essere sprecato il sangue; l'esempio non mai.
      Giunto Federigo a Verona, bandí una sentenza che toglieva ai Milanesi tutte le regalie, tra le quali la piú importante il diritto di zecca, e ne investiva invece Cremona, città sua fedele; poscia, non senza contrasto di bande spicciolate d'Italiani, che alle chiuse delle Alpi lo bersagliavano, per la valle di Trento si ricondusse in Germania, senza avere gran fatto avvantaggiato le cose sue in questa spedizione, della quale il maggior frutto fu la sua ricevuta corona per mano del pontefice.
      Frattanto i Milanesi, senz'aspettare che l'imperatore avesse varcato l'Alpi e lasciatolo appena allontanare mentre moveva verso Roma, stimando fosse a loro di grandissima riputazione e vi stesse del loro onore ristorare i Tortonesi dai danni sofferti, spedirono sollecitamente dugento fanti ed altrettanti militi, che a prima giunta attesero ad afforzarsi il meglio che potevano, cingendosi di ripari e fossati tra quelle rovine e raccogliendo intanto i dispersi abitatori.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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