Ma i Pavesi, per vietare che risorgesse la nemica città, uscirono ad oste e, venuti a fatto d'arme, ruppero le bande di Milano, che con trista prova fuggendo disordinate, parte si ripararono a salvamento nella chiesa maggiore di Tortona. Fu grandissima indignazione nel popolo milanese per questo fatto, e cavalcarono tosto le porte Ticinese e Vercellina, che, non senza duro contrasto, pur riuscirono ad allontanare i Pavesi e, raggiunte da altri rinforzi, si diedero con ogni diligenza, usando persino i cavalli di battaglia a portar rena e calcina, a riedificare la città, che risorse in fatto assai piú comoda e bella di prima.
Di quelli che, fuggendo dalla battaglia, si erano ritirati in chiesa furono per sentenza de' consoli scritti e banditi i nomi, senza che nella persona o nell'avere patissero altra condanna; tanto ancora si stimava l'onore dappiú d'ogni altra cosa.
Scrisse poi il comune di Milano a quello di Tortona una lettera in termini, come era suo costume, assai superbi(88), accompagnandola col dono d'una tromba, una bandiera ed un sigillo.
Nella primavera dell'anno seguente 1156, Federigo sposò in Virtzburgo Beatrice, figliuola di Rinaldo conte di Borgogna, che gli arrecò in dote parecchi Stati; ma non si levò, né per queste nozze, né per le cure dei nuovi acquisti, dal pensiero fisso che lo dominava d'abbattere alla fine e per sempre la potenza dei Milanesi, e consumava tutto quell'anno negli apparecchi d'una spedizione in Italia, mentre essi, dal canto loro, usavano pari studio a munirsi contro il minacciato assalto, consumando le città di parte imperiale con incessanti devastazioni ed assicurando il proprio Stato coll'espugnazione di molti castelli.
Venuto poi l'anno 1157 e non volendo Federigo, quando calasse in Italia, lasciarsi alle spalle germi di agitazione, stimò conveniente portarsi in Borgogna, onde avere l'ubbidienza de' nuovi Stati della moglie Beatrice; venuto, quindi, nell'ottobre a Besanzone, ottenne facilmente di essere riconosciuto signore del ducato ed, in quell'occasione, tenne corte regia, alla quale concorsero gran numero di baroni da tutte le contrade d'Alemagna e d'Italia, suddite dell'impero.
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