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      Cavalcava un bel ronzino, ed il suo grosso corsiero da lancia veniva condotto a mano da uno scudiero.
      Signore di diciotto castelli su quel di Novara, non solo non era riuscito a questa piccola repubblica di sottometterlo e costringerlo a vivere qual privato cittadino nelle sue mura, ma a stento aveva potuto sottrarsi al suo immediato dominio e, mantenendo col reggimento a comune un'apparenza di libertą, gli era di fatto soggetta. Lo Stato del conte Guidone, posto nell'Alto Novarese appié dell'Alpi, lontano dalle cittą piś potenti, s'era cosķ mantenuto indipendente, ed esso, che gli storici dipingono valente uomo di guerra ed al tempo stesso savio, prudente e di sottile ed astuto ingegno nelle pratiche co' suoi vicini, avea saputo mantenersi amici i Milanesi, aver da loro il grado di Capitan generale e non perder la grazia dell'imperatore, del quale era immediato vassallo.
      Gli ordini feudali comportavano questa posizione ambigua, che oggi sarebbe impossibile, ed il conte era uomo da saperla piś d'ogni altro usare a suo profitto. L'aver voce d'eretico e di professar nel suo segreto le opinioni de' Cątari, non nuoceva alla sua autoritą tra popoli, che, avendo come tutti gli Stati nuovi e vigorosi, vōlto interamente l'animo alla libertą, poco attendevano a questioni teologiche e, se l'arcivescovo di Milano, Oberto da Pirovano, ed il suo clero, erano avversi al Conte, egli poteva sprezzare la loro inimicizia, essendo ancora ignoto ai cristiani l'uso di persuader chi non crede, colle persecuzioni e col fuoco(91).
      In questa venuta in Milano, essendo occasione di importanza per la sua casa, avea condotto seco la contessa Azelaide, sua moglie, il figliuolo Guido e Brunisenda, sua figlia, destinata a Guilfredo.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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