DUCA. Sentite, Ernestina: gli uomini che vedo e stimo e proteggo, come dite voi, quantunque sappiano proteggersi da loro, sono, secondo me, i buoni e gli onesti, e quelli che vedete e proteggete voi i birbanti. È affare di gusto: e saprete che non abbiamo mai avuto lo stesso, e perciò mai gli stessi amici... salvo uno... quel povero Piero di San Felice, che s'è andato a far ammazzare in Spagna...
DUCHESSA (s'è andata turbando).
DUCA. Salvo quello, che ci piaceva ad ambedue, chi piaceva a voi non piaceva a me e viceversa. Mi renderete la giustizia di confessare che non v'ho mai contrariata nelle vostre relazioni, e cosí desidero non esser contrariato nelle mie... Si può essere buoni amici, e non aver gli stessi gusti!...
DUCHESSA. Geppino, non è affare di gusto la carriera di vostro figlio, se proprio non volete pensare alla vostra.
DUCA. E dagliela, con questa carriera! Ho capito... bisogna per la centesima volta che vi faccia la mia professione di fede... Io non voglio esser ministro, non voglio esser ciambellano, non voglio esser scudiere, non voglio esser ambasciatore, né segretario, né console, né vice console, né cancelliere, ecc. ecc. ecc. e non vedo la necessità che Carlo sia niente di tutto questo. Poiché la fortuna, per darmi centoventimila scudi l'anno, non m'ha domandato nient'altro che di darmi l'incomodo di nascere, voglio profittare della sua bontà e farne profittare mio figlio. Carlo, me n'accorgo forse tardi, ha bisogno di far la sua educazione, poiché i Reverendi non ci hanno pensato: bisogna, dunque, che ci pensi io, e ci penserò, e con questo, vi lascio alle delizie della vostra società e v'auguro la felice sera (esce).
SCENA SECONDA
DUCHESSA sola.
DUCHESSA (s'alza, cacciando da sé il telaio con impazienza.
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