Offerì loro intanto una trabacca ove si alloggiava la guardia della porta: ma i due amici, udendo che la stanza del capitano era ancor molto lontana, risolvettero d'aspettar quivi, tanto che il messo fosse tornato con la risposta.
Ivi presso sorgeva un gruppo di querce, con molt'erba fresca, che protetta dall'ombra offeriva in quell'ore bruciate del mezzogiorno un bellissimo stare. Vi si condussero i due guerrieri, e legati i cavalli agli alberi, si disarmaron la fronte, e sedettero uno accanto all'altro appoggiando le spalle a quei tronchi. Una leggiera brezza marina rinfrescava loro il viso; onde l'uno riprese a parlare con nuovo animo, ed all'altro crebbe la voglia di ascoltarlo.
CAPITOLO V.
Fieramosca seguitò il suo racconto con queste parole:
Perduta Ginevra, il mondo fu finito per me. Uscii di casa cogli occhi stupiditi che non davano una lagrima; e dove andassi, o che cosa fosse di me in quei primi momenti, appena lo potrei dire se non me l'avesser fatto conoscere le cose che accaddero di poi. Andavo come una cosa balorda, o come succede talvolta, ben sai, quando una mazza ferrata ti percuote sull'elmetto a due mani, che per un poco ti zufolan gli orecchi, e pare che ogni cosa dia volta agli occhi. Così non sapendo quasi che cosa mi fosse accaduto, passai ponte (la casa della Ginevra era presso Torre di Nona) e su per borgo me ne venni in piazza di San Pietro.
Quel mio amorevolissimo Franciotto, saputa in parte la mia sventura, mi venne cercando, e mi trovò buttato in terra appiè d'una colonna: in qual modo mi vi trovassi, non lo saprei dire.
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