La vita ch'io menavo mi parve alla fine troppo indegna di un soldato e d'un Italiano.
Legato com'ero dal voto fatto in Santa Cecilia, non potevo sperare al nostro amore virtuoso fine.
Tutt'Italia era in arme: i Francesi parevano i pił forti; ed oltre l'amor di patria che mi spingeva a combattere il nemico pił pericoloso, avevo una vecchia ruggine co' Francesi e colle loro insolenze. Scorgevo ancora, ti dico il vero, pił sicurezza per la Ginevra all'ombra delle bandiere di Spagna, ove non poteva giungerla il Valentino.
Queste ragioni conosciute vere dall'animosa Ginevra, che non ostante il suo amore per me non poteva patire ch'io rimanessi addietro, mentre si combatteva per la fortuna d'Italia, ci risolvettero in tutto; e, scritto al signor Prospero Colonna che metteva genti insieme per Consalvo, mi posi sotto la sua bandiera.
In quel tempo si trovava colla compagnia a Manfredonia; onde noi, lasciata Messina, per mare ci drizzammo a quella volta. In quel viaggio ci accadde uno strano accidente.
Eravamo sorti a Taranto; e quivi riposatici, uscimmo dal porto una mattina per andar a Manfredonia. Era una nebbia folta del mese di maggio, e la nostra barca a due vele latine e dodici remi, volava sul mare piano come una tavola. A mezzogiorno ci si scopersero addosso quattro navi ad un trar d'archibugio, e ci chiamarono all'ubbidienza. Volevo fuggirle, ed avremmo potuto, che stavamo a sopravvento; ma considerato che coll'artiglierie potevano fare qualche mala opera, presi partito d'andare a loro.
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