Si trovò all'osteria del Sole secondo l'appuntamento. Ma non ebbe per allora nulla a dire a D. Michele, poichè il servo, che a suo credere era tanto mirabile indagatore, aveva promesso molto, operato poco, e scoperto niente.
La sera a cena la moglie e la fante s'accorsero che qualche gran cosa gli bolliva nel cervello, e non gli lasciaron mangiar boccone che gli piacesse, a furia d'interrogazioni. Fu gran fatto che non ispiattellasse tutto: chè il serbare un segreto, massime se gli pareva potesse dargli riputazione, era per lui maggior fatica che il trattener la tosse a chi n'abbia il prurito. Già gli uscivan delle mezze parole. Eh, lo so io!., se sapeste!... se mi va bene un certo affare!.... Poi pensò un tratto, si sbigottì del pericolo, s'alzò da tavola, e, preso un lume con istizza, se n'andò a letto.
Quella notte gli parve un secolo. Alla fine venne il giorno, si vestì in fretta, e sceso in piazza si piantò da un barbiere ove D. Michele gli avea promesso di venirlo a trovare. Sedè sulla panca della bottega ove capitavano ogni mattina il notaio, il medico, lo speziale, e due o tre altri che eran le teste quadre di Barletta. Posta una gamba sull'altra, dimenava così un poco il piede che restava in aria; il braccio sinistro stava rasente il busto, e la sua mano al fianco opposto riceveva nel concavo della palma il gomito destro; colle dita si sonava il tamburo sul mento guardando ora di qua ora di là se comparisse l'amico; poi in aria, perchè non compariva. Lo speziale, il notaio e gli altri gli avevan detto più volte: Ben levato signor podestà; ma vedendo che faceano poco frutto, e che appena rispondeva, si tenean in rispetto, parlando fra loro sotto voce, e dicendo: Che diamine ci sarà di nuovo questa mattina!
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