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      Figlio d'un uomo di Girolamo Riario, s'era trovato fra l'armi fin dall'infanzia, ed era stato al soldo di tutti gli Stati d'Italia, perchč ora per risse, ora per disubbidienze, ora per propria incostanza, sempre gli toccava andar in traccia di nuovi padroni. I Fiorentini erano stati gli ultimi, e s'era fuggito da loro per questo fatto.
      Stando a campo alle mura di Pisa fu dato un assalto, nel quale, se Paolo Vitelli, capitano per la Repubblica, non avesse fatto sonare a raccolta e rattenuti, perfino colle ferite, i soldati fiorentini che erano pieni d'ardire nel seguire il primo vantaggio, Pisa al certo si prendeva quel giorno; e la condotta del Vitelli tacciata a Firenze di tradimento, fu poi, come ognun sa, la cagione della sua morte. Fanfulla, sempre alla testa de' primi, era giunto su per una scala ad abbracciar un merlo; rotando la spada, s'era fatto largo; giā stava sul muro, e tanto menava colpi, stoccate e botte da disperato, che per poco gli altri avrebbero avuto campo a seguirlo.
      In questa si suona a raccolta, ed č lasciato solo. Non si poteva dar pace di doversi ritirare; pure scese fremendo, mugghiando per la rabbia fra una tempesta di dardi, sassi, archibugiate che non gli fecero un male al mondo, e sano e salvo tornō al campo correndo come un pazzo, e dicendo villania a quanti incontrava. Nel padiglione del capitano erano i commissari fiorentini col Vitelli a consiglio: saltō Fanfulla invelenito in mezzo a loro, e chiamandoli traditori, cominciō con un bastone che avea raccolto a scaricar su tutti, senza guardar nč a chi nč come nč dove, una grandine di legnate e calci e spinte e pugni; e tra che egli era robustissimo, tra che quelli non se l'aspettavano, li mise in tanto scompiglio, che si trovarono in terra malmenati e sottosopra, prima che potessero conoscere chi fosse l'autore di quelle busse.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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