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      La forza di Garcia era somma; sarebbe stato però fidarvisi troppo volerla metter con un toro che aveva la fronte armata di grandissime corna, ed un collo largo e nerboruto da non temer paragone; lo Spagnuolo vide che bisognava operar con cautela. Alzò a due mani lo spadone sulla spalla manca, col piè dritto battè due o tre volte il suolo, gridandogli ah! ah!. Il toro, abbassate le corna, si getta sul suo nemico; questi ne era quasi giunto, allorchè lanciatosi da una parte gli cala sul collo la spada con tanta forza e fortuna, che il capo cade sull'arena, ed il corpo fa ancora uno o due passi prima di stramazzare.
      Uno scoppio generale di grida fe' plauso a Diego Garcia, che tornò a sedersi fra' suoi. I cavalieri francesi non avvezzi a questo genere di spettacolo, vedendo con quanta facilità lo Spagnuolo avesse tagliato quel collo, pensarono fosse cosa molto agevole. E come erano uomini sul fiore dell'età e della forza, e venivan loro benissimo maneggiate l'arme, dicevano: Anche noi faremmo lo stesso. E quello che lo disse più degli altri fu La Motta, il quale, come vedemmo, prigione di Garcia se n'era riscattato: superbo per natura, aveva sempre con lui il dente avvelenato; non che ne fosse stato trattato male, ma perchè gli pareva troppo strano l'aver avuta la peggio, ed il vedersi davanti chi l'avea fatto stare a segno.
      Lodò il colpo di Garcia per non parer invidioso e scortese; ma con quel viso che i Francesi d'oggi chiamano suffisant a definir il quale gl'Italiani mancano forse di vocabolo adattato; e gli disse, stando ritto e pettoruto, e, come era suo costume, senza molto voltarsi verso lui: - Bravo, don Diego; ben tagliato, Par Notre Dame; - poi volto al suo vicino francese disse sorridendo: - Grand meschef a été que le taureau n'eut pas sa cotte de mailles; la rescousse eut été pour lui.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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