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      Si mosse alfin la bestia, adagio i primi passi, poi ad un tratto, dando un muglio, si gettò col capo basso addosso a Garcia. Egli credendosi spiccarle il capo come all'altra, si lancia da un lato e cala il colpo con grandissima forza; ma sia che la spada non cadesse a filo, o che il toro facesse un contrattempo, rimbalzò sulla maglia di ferro, ed il toro gli si rivoltò addosso con tanta furia che, per tenerselo discosto, lo Spagnuolo ebbe appena tempo d'appuntargli la spada alla fronte ov'era difesa dal collarino di maglia. Qui si mostrò tutta la forza di Paredes. Piantato colle gambe aperte una innanzi l'altra, lo spadone tenuto a due mani col pomo al petto e la punta fissa nella fronte del toro, fu potente d'arrestarlo; la lama grossa e forte resse alla prova; ed era tale lo sforzo di Diego Garcia che si vedevano i suoi muscoli, nelle gambe e nelle cosce specialmente, gonfiarsi e tremar non meno che le vene del collo e della fronte; e la tinta del suo viso divenne rossa, poi quasi pavonazza; e si morse talmente il labbro inferiore che si tinse il mento di sangue.
      Il toro vedendo che gli si chiudeva quella strada all'assalto, s'arrestò, e, preso del campo, gli si lanciò di nuovo addosso con maggior furia. Garcia si sentiva saltar la febbre per vergogna d'aver fallato; in un momento in cui volse l'occhio ai palchi vide, come un baleno, il volto di La Motta composto ad un riso di scherno; e questa vista gli mise addosso un furore tanto smisurato, e tanto gli crebbe le forze, che, alzata la spada quanto potè, la rovesciò sul collo del toro con tal rovina che l'avrebbe tagliato se fosse stato di bronzo.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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