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      Ricevè dalle mani di D. Elvira il ricco elmetto, premio della vittoria, al suono degli stromenti, e fra gli applausi universali. Finita in tal modo la festa, s'alzò Consalvo, e colla figlia, il capitano di Francia e tutta la baronia ritornava alla rôcca, ove avvicinandosi l'ora del convito si stava allestendo la mensa. La piazza e l'anfiteatro furono presto vuoti di spettatori, che tutti, forestieri e terrazzani, andarono quali alle lor case, quali alle osterie, ed a quella in specie di Veleno, che era delle avvantaggiate, riposarsi e pranzare, trattenendosi delle varie fortune di quella giostra.
      Ginevra, la mattina di questo giorno in cui la fortuna le preparava acerbissimi colpi, si svegliò un'ora più tardi che non soleva. Travagliata sempre con maggior forza da' suoi pensieri, presso all'alba soltanto avea potuto prender sonno, sonno agitato da cento fantastiche immagini. Ora le si rappresentava Fieramosca ferito, coll'occhio moribondo, in atto di raccomandarsele; ora le pareva mirarlo vittorioso, cinto di gloria, fra baroni, e che, torcendo lo sguardo con disprezzo da lei, lo volgesse ad altra donna porgendole la destra. E pur dormendo diceva per racquetarsi: Felice me che ciò non sia altro che un sogno! ma pure tremava parendole persino di udire i suoni di festa che celebravano le nozze d'Ettore, le campane, lo sparo delle artiglierie; ed alfine il loro fragore le percosse talmente l'orecchio che si riscosse a un tratto, aprì gli occhi e volgendoli al balcone dal quale si scorgeva Barletta, s'accorse che se tutto il rimanente era stato sogno, non lo era però il fragore che l'era venuto all'orecchio.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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