Da una città vicina del littorale era stata chiamata una compagnia di comici ambulanti, che dopo aver passato il carnovale in Venezia, veniva da città in città rappresentando drammi e commedie, per ritrovarsi poi a Napoli per le feste di S. Gennaro, od a Palermo per S. Rosalia. Dovendo ora comparire innanzi ad un'adunanza così scelta, s'era preparata con ogni studio, onde lo spettacolo riuscisse gradito. Appena fatto notte, s'allogarono gli spettatori, e tosto fu dato ordine d'incominciare. Mandata giù una gran tela che serviva di sipario, apparve un palco, sul quale, da un lato si vedea un portico ricco di colonne e di statue, e che mostrava esser l'ingresso di una reggia, sulla cui porta era scritto a lettere d'oro: "Terra di Babilonia"; e sotto di esso, seduto su un trono ed attorniato da' suoi baroni, un re collo scettro d'oro in mano, vestito alla foggia d'Oriente, con un gran turbante coperto di gemme, e sovr'esso la corona: nel mezzo una spiaggia di mare; e dall'altro lato, sotto un'alpestre montagna piena d'alberi e di rupi, era scavata una caverna, dalla quale un dragone usciva di tempo in tempo facendo vista di guardare una pelle d'ariete coi veli dorati molto rilucente, che stava appesa ad un albero vicino.
Accanto al re, su un trono minore, stava una donna alta, complessa, di bella faccia, vestita di raso rosso con due braccia di strascico ed un capperone di velluto nero alla francese; un falcione accanto ad uso di storta, ed in mano un libro ed una verga: era Medea.
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