- Non gridare, Ginevra, - le disse il Valentino, - sprecheresti il fiato; ho caro assai che mi sia venuta a trovare, e ti ristorerò del disagio di un viaggio a quest'ora... Tu però non cercavi di me. Non è egli vero? Che vuoi? tutte le palle non riescon tonde.
La povera Ginevra ascoltava queste parole con un tremito che le toglieva la forza; da molto tempo non avendo veduto il duca, non lo riconosceva, e soltanto provava orrore alla sua vista trovando pure in sè una confusa reminiscenza di quella fisonomia. Conoscendo di non poter far difesa, disse soltanto: - Signore!... chi siete?... abbiate pietà di me... che cosa volete?... lasciatemi... - Ed il duca:
- Ti ricordi, Ginevra, in Roma, in qual modo ti governasti, son già molt'anni, con un tale che t'amava allora quanto gli occhi suoi, e t'avrebbe fatto tali doni e tali carezze da farti maravigliare? Ti ricordi che usasti seco modi che sarebbero stati sconci ad un ragazzo di stalla? Ti ricordi che ti ridesti del suo amore, che tenesti a vile le sue proferte, che ti vestisti seco d'una superbia che sarebbe stata troppa ad una regina? Ebbene, sai chi era quel tale? Quel tale son io. E sai chi son io? Cesare Borgia.
Questo nome cadde come una massa di piombo sul cuor di Ginevra a soffocarvi ogni speranza: stava perciò senza rispondere, guardando il duca tutta tremante, come avrebbe guardato un tigre che la tenesse fra gli artigli, e che non le sarebbe neppur venuto in capo di voler intenerire colle parole.
- Ora che sai chi io mi sia, - seguì a dire il duca, - pensa se dovresti aspettar da me compassione; pure potrei piegarmi a non far su di te la vendetta che dovrei e potrei.
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